Adolescenza in crisi


1.

Dopo avere proposto alcuni spunti di analisi storica, sociologica e culturale della condizione adolescenziale oggi, si tratta di capire in quale misura essi servono a capire il disagio psichico che investe una quota crescente di soggetti dai dodici ai venti anni.

Ciò è reso più facile dal considerare che l'adolescenza è una fase programmata dell'evoluzione della personalità che comporta costantemente una tensione conflittuale. La matrice e il significato del conflitto adolescenziale è facile da mettere a fuoco.

Per quanto oggi si tenda ad enfatizzare l'unicità e l'irripetibilità di ogni individuo, fino al punto da attribuire ad ogni bambino caratteristiche e modi di essere suoi propri e da sollecitare gli educatori a rispettare la sua individualità, è un dato di fatto che, all'epoca dell'avvio dello sviluppo puberale, ogni soggetto è omologabile psicologicamente ad una crisalide. Ciò non significa che egli non abbia una sua personalità sufficientemente differenziata. Questa però è contenuta o almeno convive con il bozzolo di una dipendenza più o meno intensa dalle figure degli educatori (anzitutto i genitori) e con il "contagio" psicologico e culturale prodotto dall'esperienza infantile, vale a dire con i valori culturali interiorizzati nel corso di essa, gran parte dei quali sono depositati a livello inconscio.

La crisi adolescenziale è sostanzialmente una muta, un parto psicologico il cui fine è la nascita dell'individuo autonomo, vale a dire dotato di una scala di valori culturali suoi propri, espressivi della sua volontà e della sua identità.

Non bisogna eccedere nell'enfatizzare questo passaggio. Il "contagio" psicologico e culturale prodotto dalla lunga esperienza infantile è a tal punto profondo che non si dà nessuna possibilità di un affrancamento radicale da esso. Se ci si vuole convincere di ciò, basta considerare che anche gli individui più differenziati conservano nel loro modo di gestire, nella mimica, nelle inflessioni della voce, ecc., tratti visibili di quel contagio. Un calabrese che parla un italiano perfetto, cionondimeno ha un'inflessione vocale che è il frutto di un'eredità culturale.

Ciò che definisce l'autonomia di un individuo non si può ricondurre al fatto che egli è totalmente se stesso, bensì alla conquista di un modo di essere, di vedere, di sentire e di agire compatibile con la sua vocazione ad essere.

La muta adolescenziale, sulla carta, a questo tende: a privilegiare l'individuazione rispetto alla tendenza a conformarsi agli usi, ai costumi, alle consuetudini, ai valori culturali dell'ambiente di appartenenza.

Se questo è vero, non si fa difficoltà a capire perchè, nel nostro mondo, questo processo risulta mediamente difficile.

Per un verso, infatti, il diventare e l'essere se stessi, vale a dire "qualcuno", viene proposto dalla cultura e accolto come un valore assoluto. Per un altro, se si pongono da parte le banalità e i luoghi comuni (essere spontanei, immediati, autentici, agire di testa propria, ecc.), nessuno fornisce le indicazioni essenziali per promuovere un processo di individuazione.

Quali sono queste indicazioni? Sostanzialmente due.

La prima è non fidarsi troppo della propria coscienza, che ha una tale capacità di mistificazione da portare l'individuo a pensare di essere e di sentirsi se stesso anche quando ciò non corrisponde minimamente alla verità o addirittura si riduce semplicemente ad una simulazione inconscia (il falso io).

Ma come fanno gli adolescenti di oggi a giungere a nutrire questo salutare sospetto, che definisce l'autonomia e l'autenticità come un obiettivo da perseguire per tutta la vita, se essi sono allevati e educati nell'ottica del coscienzialismo, vale a dire sollecitati ad identificare nella coscienza la dimensione che esaurisce la loro esperienza soggettiva?

La seconda indicazione verte sul legame con le generazioni precedenti. La densità di tale legame è agevole da capire. Marx ha scritto che l'esperienza di tutte le generazioni precedenti pesa come un incubo sul cervello dei viventi. Quest'incubo è la cultura nella sua totalità, prodotta dai morti, e che scorre come un fiume almeno in parte limaccioso attraverso la catena transgenerazionale. Senza questo fiume, ogni individuo dovrebbe ripercorrere un lunghissimo e disperato tragitto alla ricerca e alla conquista di qualche brandello di verità funzionale a vivere, ad orientarsi nel mondo e a dare senso alla propria esperienza. La cultura è una scorciatoia: il suo significato integrativo dell'identità personale riconosce come limite ciò che essa ha deciso di lasciare fuori dal suo tragitto.

I bambini non sanno che la loro esperienza diretta con i genitori rappresenta l'interfaccia attraverso la quale essi vengono a contatto con le generazioni precedenti. Essi non sanno neppure che la loro tendenza a idealizzare per alcuni anni i genitori e gli adulti è una sorta di ipnosi che facilita la trasmissione dei valori culturali consci e inconsci e impregna profondamente la loro personalità. Chiusi nella gabbia della loro coscienza, presentificati nel rapporto con i genitori e con il mondo con cui interagiscono, ignari del peso delle tradizioni nella struttura della loro personalità, gli adolescenti di oggi, sotto la spinta dell'enfatizzazione dell'individuo libero, ritengono che fare i conti con i genitori, affrancarsi dalle tradizioni e dai valori interiorizzati sia un gioco da ragazzi.

E' questo l'errore che molti commettono e finiscono con il pagare. Occorre riconoscere però che nessuno fa nulla per metterli al riparo da tale rischio.

2.

C'è un modo molto semplice per rendersi conto che le cose stanno così. Basta considerare che l'universo degli adolescenti di oggi è facilmente distinguibile in due categorie. C'è una minoranza di adolescenti che hanno un'evoluzione lineare, vale a dire che attraversano l'adolescenza come se non avessero alcun turbamento e alcun motivo di opporsi e di ribellarsi. Sono i "figli d'oro" che rimangono subordinati al potere genitoriale e a quello degli adulti (gli insegnanti), adeguano il loro comportamento a valori tradizionali che implicano il rispetto delle gerarchie, la dedizione allo studio, il vivere in maniera misurata, e hanno di solito un progetto di vita serio.

C'è viceversa una maggioranza, peraltro estremamente eterogenea, che, avendo alle spalle un'esperienza lineare o relativamente oppositiva e turbolenta, con l'avvio dell'adolescenza va incontro ad un cambiamento radicale. La crisi può intervenire precocemente, anche ormai a dodici anni, o tardivamente, intorno ai diciassette, e ha caratteristiche molto differenziate in rapporto alle singole personalità e ai diversi contesti familiari e socioculturali. Le caratteristiche comuni però sono due: da una parte, i soggetti tendono più o meno repentinamente ad assumere un comportamento adultomorfo, come se crescere significasse per loro chiudere i ponti con l'infanzia e non esibire agli occhi degli altri alcun comportamento che possa essere scambiato come infantile; dall'altra parte, essi tendono a rivendicare una libertà pressochè assoluta dal controllo parentale e, spesso, da ogni autorità.

E' evidente che queste due caratteristiche hanno una matrice in comune, essendo entrambe riconducibili alla fobia di un'infanzia memorizzata come un periodo di credulità, di soggezione, di dipendenza e di limitazione della libertà. In conseguenza di tale fobia, gli adolescenti tendono a diventare più o meno univocamente scettici nei confronti degli adulti, contestatori e arroganti, a rivendicare la loro totale indipendenza e il diritto di vivere di testa propria, senza interferenze, regole e controlli.

Genitori, insegnanti, psicologi rimangono sorpresi dal fatto che, in una società liberalizzata, nella quale non vige più il principio di autorità ottocentesco, e nella quale le famiglie si affannano a stabilire un rapporto intimo e comunicativo con i figli, a soddisfare le loro richieste, a fornire loro molteplici possibilità di sviluppo e a coltivare la libera espressione della personalità, l'adolescenza tenda troppo spesso ad assumere un carattere "maligno".

Di fatto, sullo sfondo di una fluttuazione dell'umore che sale e scende, che si può ritenere fisiologica di un periodo evolutivo delicato, molti adolescenti oggi sperimentano fluttuazioni di ampiezza inusitata con fasi di iperattività che sfiorano l'esaltazione e fasi di inerzia e di abbattimento che sembrano configurare una depressione.

La sorpresa cui facevo cenno è da ricondurre al modo sostanzialmente astratto con cui gli adulti, compresi alcuni specialisti, leggono la condizione infantile. E' senz'altro vero che i genitori oggi mediamente si rapportano ai figli in maniera diversa rispetto al passato: di sicuro sono più attenti, più partecipi, più tolleranti, più aperti ad un'interazione paritaria. Il problema è che essi sono anche mediamente più ansiosi, più preoccupati del loro avvenire, più inclini a sentire come loro dovere quello di renderli felici. L'incubo costante nel quale essi vivono, e che cresce con il crescere dei figli, è che essi possano avere dei problemi psichici o imboccare la via di una qualche devianza.

Ciò determina un orientamento, anche se non sempre consapevole, sostanzialmente iperprotettivo, che può anche rassicurare il bambino, per quanto lo condizioni a dipendere, ma, via via che egli cresce, si tramuta in una gabbia d'acciaio.

E' questa gabbia che, con l'avvio dell'adolescenza, dà luogo ad una ribellione fuori misura. Il problema non è solo quello di scrollarsi di dosso l'ansia genitoriale, che alimenta la paura che l'adolescente ha di affacciarsi alla vita per proprio conto, bensì anche quello di liberarsi da una dipendenza interiorizzata. Il primo obiettivo è agevole da raggiungere, in virtù dell'opposizione alle influenze genitoriali. Il secondo, viceversa, presenta non poche difficoltà.

A posteriori, l'infanzia viene spesso vissuta con grande disagio, come un'epoca di vergognosa debolezza. Tale disagio confonde due aspetti: l'immaturità del bambino, che lo obbliga a dipendere, e la sua vulnerabilità che, per quanto possa diminuire nel corso del tempo, è un aspetto proprio della condizione umana. Tale confusione identifica nella crescita la necessità di liberarsi di entrambi questi aspetti, vale a dire di dare prova al tempo stesso di essere indipendenti e di non aver paura di niente e di nessuno.

Per ciò l'adolescenza di oggi tende ad assumere in un numero straordinario di casi un carattere spiccatamente claustrofobico. Questo carattere non si esprime allo stesso modo in tutti i soggetti. Talora esso si riduce ad una generale insofferenza nei confronti del mondo adulto, che viene vissuto come incapace di capire la condizione giovanile. Talaltra la contestazione è vivace, e si realizza attraverso l'assunzione di atteggiamenti più o meno provocatori. In alcuni casi, infine, la ribellione si configura come un rifiuto aperto di ogni regola e di ogni controllo.

Psicologi e sociologi tendono ad interpretare la "malignità" più o meno rilevante dell'esperienza adolescenziale di oggi facendo riferimento a vari fattori.

Alcuni, moralisticamente, sostengono che le famiglie, immerse come sono in una faticosa routine quotidiana, dedicano poco tempo ai figli. Non è vero. Se ne dedicano poco è comunque più che in passato, e quel poco si associa ad una disponibilità genitoriale al colloquio incommensurabile con le epoche precedenti.

Altri affermano che la claustrofobia adolescenziale è in gran parte il frutto di un atteggiamento troppo permissivo, che impedisce ai ragazzi di acquisire consapevolezza dei loro limiti e dei loro diritti, subordinati sino alla maggiore età al potere genitoriale. Anche questa interpretazione sembra poco fondata. Essa infatti riguarda tutt'al più la tendenza dei genitori a soddisfare le richieste dei figli di beni di consumo. Per quanto riguarda l'organizzazione complessiva della vita sembra piuttosto vero il contrario. Non nel senso che i genitori di oggi reprimano la libertà dei figli. Essi semplicemente sono costretti a imporre loro uno stile di vita che comporta obblighi molteplici: l'istituzionalizzazione precoce in strutture asilari, la frequenza obbligatoria della scuola (spesso a tempo pieno), il catechismo, lo sport,ecc. L'atteggiamento interiore dei genitori è più liberale rispetto al passato, ma gli obblighi dei figli si sono moltiplicati non ridotti.

Altri, infine, sottolineano l'incidenza dei mass-media e della cultura giovanile orientate a produrre una stimolazione continua dei diritti individuali e del bisogno di differenziarsi e di diventare qualcuno. Anche questa interpretazione ha i suoi limiti, perchè non riesce ad illuminare l'humus che permette ai mass-media e alla cultura giovanile libertaria di attecchire.

3.

La componente claustrofobica, che è tipica dell'esperienza di molti adolescenti oggi, presenta due diversi aspetti. Per un verso, essa fa specificamente riferimento all'insofferenza nei confronti dei legami affettivi, dei vincoli, delle regole poste dal mondo sociale, delle gerarchie, ecc. Per un altro verso, più insidioso, essa comporta la fobia di ogni limite, e quindi dei limiti naturali ó la vulnerabilità, la precarietà, la finitezza ó che sono aspetti costitutivi della condizione umana.

In un articolo (Il buco nero dell'esperienza giovanile), ho sottolineato l'incidenza di quest'ultimo problema, riconducibile al fatto che, nel loro sforzo di proteggere i figli, le famiglie dimenticano che l'obiettivo ultimo dell'educazione consiste nel fare assumere loro la consapevolezza dei limiti naturali e nell'aiutarli ad assumersene la responsabilità. Dato che quest'obiettivo è disatteso, gli adolescenti si confrontano con quei limiti adottando sistematicamente meccanismi di rimozione e di negazione.

La rimozione si realizza non concedendosi di pensare e di riflettere a tu per tu con se stessi. Il raccogliersi in solitudine è pertanto quasi universalmente rifuggito.

La negazione comporta invece la necessità di attestare di non avere paura di niente e di nessuno. Essa si traduce in una sfida sistematica contro l'umana paura, resa evidente, tra l'altro, dal fenomeno sociologico tristemente noto del sabato sera.

La rimozione e la negazione dell'umana debolezza è imposta da una legge che gli adolescenti sentono nell'aria e che, in termini semplificati, si può ricondurre al guai ai deboli. In conseguenza di questo l'adolescenza di oggi è un'universale mascherata, alla quale non partecipano solo coloro che si ritengono coscientemente inadeguati per mettersi alla prova: quelli cioè che si considerano preliminarmente sconfitti.

Con questa realtà le famiglie si confrontano con un livello di ansia che regolarmente le induce ad adottare una strategia errata.

C'è un aspetto di cui non si tiene sufficientemente conto. Le famiglie, anche sotto il profilo giuridico, sono investite di un ruolo di responsabilità e di controllo sui figli minorenni. Tale ruolo viene ad urtare sempre più spesso contro la rivendicazione da parte dei figli adolescenti di una libertà pressochè totale. I genitori cercano di contrattare, ma sulla base della paura che i figli, di fronte ad una presa di posizione ferma, possano fare delle sciocchezze. Essi si attengono dunque al principio di vincolare i figli al rispetto di regole minimali. Con ciò, senza saperlo, essi incrementano la tendenza dei figli a trasgredire. Si instaura, in conseguenza di questo, un penosissimo braccio di ferro che rischia di trasformare gli adolescenti in opposizionisti cronici.

Occorre prendere atto che, per un verso, i cambiamenti sociali hanno esautorato i genitori del loro potere di controllo, che, in passato, si fondava su di una struttura sociale gerarchica e in una certa misura autoritaria. Per un altro verso, animati dalla claustrofobia, gli adolescenti di oggi tendono ad attivare, nei genitori, con i loro comportamenti, un'ansia di cui essi hanno bisogno per giustificare la loro ribellione.

Per risolvere questo problema, c'è una sola possibilità, la cui realizzazione richiederebbe un salto culturale radicale.

L'adolescenza è una fase evolutiva che dovrebbe portare l'individuo a sentire di disporre della sua piena libertà e, nello stesso tempo, a viverla nei termini ad essa intrinseci di bene e male. L'uomo libero è anche libero di sbagliare. La libertà umana è una dimensione a rischio.

Se i genitori prendessero atto di questo, anzichè contrastare la rivendicazione, in qualche misura eccessiva e irrazionale, dei figli, dovrebbero favorirla. Se essi infatti non la contrastano in alcun modo, più facilmente l'adolescente perde il gusto di opporre la sua sete di libertà al controllo genitoriale e giunge alla scoperta che la libertà è una dimensione al tempo stesso affascinante e pericolosa. Giunge insomma a rendersi conto che la vita è un'esperienza a rischio e ad assumersene la responsabilità.